Gran bollito

Gran bollito1977 – Regia: Mauro Bolognini – Con: Shelley Winters, Mario Sciacca, Max Von Sydow, Renato Pozzetto, Alberto Lionello, Milena Vukotic, Antonio Marsina, Laura Antonelli, Liù Bosisio, Maria Monti

Sarà per la vicinanza al luogo del misfatto, ma la storia della saponificatrice di Correggio mi ha sempre affascinato. L’unicità e l’efferatezza degli omicidi commessi dalla Cianciulli, uniti al bizzarro profilo psicologico della donna, rendono la storia una commistione pressoché unica di psicologia, storia, superstizione e persino geografia, una combinazione che il film di Bolognini riesce a rappresentare con incredibile efficacia.

La trama riprende, con qualche licenza, i fatti reali: alla fine degli anni ’30, Lea (una matronale Shelley Winters) si trasferisce nel nord Italia per vivere col marito Rosario, che ha aperto una ricevitoria insieme al figlio Michele, amatissimo da Lea in quanto unico sopravvissuto ad una lunga e dolorosa serie di aborti spontanei e figli morti poco dopo la nascita. Nonostante un improvviso malore costringa a letto Rosario, Lea non si perde d’animo e, grazie alle sue conoscenze che quasi sfociano nella magia, guadagna presto l’amicizia di un gruppo di donne del paese.

Proprio con l’entrata in scena di queste amiche si svela il primo colpo di genio del film: le tre future vittime di Lea sono interpretate da attori en travesti (che interpretano anche tre piccoli ruoli maschili), fatto che non viene mai nascosto al pubblico ma che invece permette ai tre attori di gestire ciascuno in modo diverso la mascherata, dando vita a tre personaggi differenti fra loro ma uniti da una profonda tristezza esistenziale. C’è Berta Maner (Lionello), mai soddisfatta dalla lunga lista di amanti e che, grazie a una vincita al lotto, sogna di partire per l’America per ricongiungersi col marito. C’è Lisa Carpi (Von Sydow), ingenua e ossessionata da visioni religiose, che si è prodigata per aiutare Rosario e Michele prima dell’arrivo di Lea. Infine c’è Stella Kraus (Pozzetto), sgargiante pianista e cantante di varietà afflitta da problemi ormonali sin dalla nascita.

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Tre vite infelici che Lea immolerà, una dopo l’altra, in un macabro rituale per tenere Michele sempre vicino a sé, lontano dalla giovane Sandra e dalla guerra incombente. Lo spettro della guerra è a tal proposito onnipresente: prima implicito nelle ristrettezze dovute alle politiche del regime, poi annunciato dalle chiacchiere e dalle notizie alla radio, infine materializzato nella chiamata alle armi che segna il tracollo definitivo di Lea e il suo ultimo, disperato tentativo. La macelleria privata sarà infine inglobata da quella su larga scala.

Gran bollito 3L’altro elemento pervasivo è la tristezza, una malinconia autunnale e nebbiosa come i paesaggi padani, che conosce bene chi vive tra l’Emilia e la Lombardia – a tal proposito parlavo di geografia. Si possono scorgere delle affinità con il quasi coevo La casa dalle finestre che ridono, in tal senso. È una malinconia meno morbosa di quella di Avati ma comunque legata al territorio, fatta di rimpianti, occasioni perdute e illusioni coscientemente portate avanti nella speranza di un cambiamento che non arriverà, e che si esprime pienamente nelle tre “confessioni” inconsapevoli fatte dalle tre donne prima di essere uccise: le avventure sentimentali di Berta sono state una più deludente dell’altra, Lisa è convinta di non poter trovare l’amore e neppure una via di fuga da quelle visioni che la tormentano, Stella si finge austriaca per nascondere le più “banali” origini lombarde e rimpiange di non aver trovato un bell’industriale da sposare.

Non manca però la componente grottesca, ovviamente. Anche se la violenza è limitata a pochissimi istanti, molte scene sono contrassegnate da una macabra ironia: Lea che serve alle amiche dei dolcetti chiamati “ossa dei morti” impastati proprio con le ossa frantumate della povera Berta; il ritrovamento di un anello in una saponetta; persino il fatto che i tre personaggi che intralciano Lea (un impiegato di banca, un ufficiale di polizia e un carabiniere) siano interpretati dagli stessi attori delle tre vittime.

Gran bollito è una delle pellicole più insolite del panorama cinematografico italiano, una riuscita combinazione di dramma, orrore e commedia, diretto con grande abilità da Bolognini, con una colonna sonora azzeccata e contrassegnato da un cast eterogeneo che, tuttavia, lavora all’unisono senza problemi, rendendo verosimile una vicenda che, anche nella sua controparte reale, ha ancora oggi dell’incredibile.

VOTO: •••••