La casa degli Usher

Titolo originale: The House of Usher

2006 – Regia: Hayley Cloake – Con: Austin Nichols, Izabella Miko, Beth Grant, Stephen Fischer, Danielle McCarthy, Elizabeth Duff, Robin Kurian, Jason Fields, Jamey Jasta, Ann Howland

Nonostante la loro brevità, i racconti di Edgar Allan Poe sono stati una notevole fonte d’ispirazione per il cinema, spesso con risultati eccellenti, dal capolavoro muto La caduta della casa Usher alla saga di otto film – della quale fa parte La maschera della morte rossa, che ho già recensito – realizzati da Roger Corman con Vincent Price quale presenza fissa. Anche il mondo dell’animazione ha reso omaggio allo scrittore, sia mediante adattamenti seri che per mezzo della parodia.

Per comprendere questo successo è sufficiente leggere anche solo alcune delle sue opere: la sua capacità di evocare immagini vivide, di indagare gli abissi della mente e di dare corpo alle nostre paure più profonde lo rende non solo un genio senza tempo della letteratura ma anche, col senno di poi, un pioniere della narrazione moderna. Adattare le sue storie significa cogliere la possibilità di coniugare ambientazioni sontuose, intense interpretazioni e sottili introspezioni psicologiche.

E allora perché, mi domando, si deve svilire il nome del Maestro con adattamenti del genere?

Pur mantenendo il nome di uno dei racconti più celebri di Poe, La casa degli Usher distorce pressoché ogni elemento originale per adattarlo a un maldestro abbozzo di amore tanto maledetto quanto scontato, a cominciare dai personaggi. Il fatto che il protagonista sia una donna non è un problema: nell’originale non aveva neanche un nome, caratteristica comune a molti racconti di Poe, e svolgeva un ruolo tutto sommato secondario, da spettatore passivo della tragedia che si abbatteva implacabilmente sulla famiglia Usher. Era inevitabile che in questo adattamento, come in quelli che lo avevano preceduto, il protagonista avesse avuto bisogno di una caratterizzazione ex novo e questa scelta offriva la possibilità di vedere il racconto attraverso una prospettiva diversa.

Fin qui tutto bene. Il problema vero è un altro.

Roderick.

Vediamo come Poe descrive l’ultimo discendente della dinastia degli Usher, vero protagonista della storia.

Notevolissimo era sempre stato il carattere della sua fisionomia: un colorito cadaverico, — un occhio grande, liquido e luminoso fuor d’ogni paragone, le labbra piuttosto piccole e pallidissime, d’una curva però stupendamente bella, — di ebraico stampo, delicatissimo, con tale ampiezza però di narici che offendeva l’armonia di quelle forme: — un mento d’incantevole modello che per difetto di rilievo accusava debolezza di morale energia, — capelli d’una pastosità e sottigliezza d’Aracne; tutti questi segni caratteristici, a cui bisogna aggiugnere un eccessivo dilatamento della fronte, gli davano una fisionomia cui sarebbe riescito difficilissimo — una volta veduta — obbliare.

Una fisionomia decisamente difficile da trovare in un attore e che Price cercò di riprodurre sacrificando i suoi celeberrimi baffi, colmando di debolezza la voce e dissimulando fra tic e manie un aspetto altrimenti troppo imponente e carismatico. Questo perché Roderick porta il pesante fardello della sottile follia che la sua famiglia ha tramandato nel corso dei secoli attraverso pratiche incestuose; perché Roderick, nella sua combinazione di sensibilità artistica e invalidante nevrosi, è la casa degli Usher.

C’era quindi da aspettarsi un attore dall’aspetto particolare, distante dai canoni di bellezza hollywoodiani ma comunque convincente, sinistro senza essere esplicito, delicato senza cadere nell’efebico. Vediamo se Austin Nichols soddisfa queste caratteristiche…

Non sarebbe stata anche la vostra prima scelta? Questo è chiaramente il Roderick Usher descritto nel racconto!

Con simili premesse, il resto del film si scrive da solo: Jill (la protagonista) fa visita a Roderick, affranto per la dipartita della gemella Madeline, fra i due rinasce l’amore mai del tutto sopito, una presenza inquietante inizia a perseguitare la ragazza, eccetera eccetera. Persino la storia fra i due protagonisti, che si sarebbe potuta salvare in extremis se avesse recuperato quell’amore tragico che pervade le poesie del Maestro, cade nel torpore per via della totale assenza di alchimia fra i due protagonisti. In breve, il peggior servizio che si potesse fare a un’opera di Edgar Allan Poe.

Tale è la pochezza dell’adattamento che l’unica nota positiva è data da un personaggio esterno al racconto originale, cioè l’infermiera della famiglia Usher interpretata dalla sempre brava Beth Grant.

È bene, quindi, dedicarsi ad altri adattamenti e buttare una simile stortura nel dimenticatoio, dal quale speriamo che essa non si risollevi mai più.

VOTO: