Amleto (1964)

amletoTitolo originale: Гамлет (Gamlet)

1964 – Regia: Grigori Kozincev, Iosif Shapiro – Con: Innokenty Smoktunovsky, Mikhail Nazvarov, Elza Radzina, Vladimir Erenberg, Yuri Tolubeyev, Stepan Oleksenko, Anastasiya Vertinskaya, Igor Dmitriev, Vadim Medvedev, Aadu Krevalid

Per qualche strano motivo, sembra che i migliori adattamenti delle tragedie di Shakespeare siano realizzati al di fuori del patria del Bardo, come a voler confermare la validità universale dei suoi drammi. Se, infatti, il Macbeth e il Re Lear hanno raggiunto l’apice sul grande schermo grazie a Kurosawa – il primo con l’asettico e rigoroso Il trono di sangue, il secondo con il grandioso, colorato e sontuosamente disperato Ran – l’Amleto sovietico di Kozincev e Shapiro riesce ad eguagliare e persino superare quello di Olivier.

Lo spunto di partenza per questa produzione fu proprio l’adattamento sullo schermo ad opera di Olivier, nel quale Kozincev constatò uno squilibrio tra l’abbondanza dell’introspezione psicologica e la carenza di attenzione per la componente politica. Per realizzare una versione della quale fosse davvero soddisfatto, Kozincev impiegò quasi un decennio di lavoro, basandosi sulla traduzione realizzata da Boris Pasternak. Il risultato fu questo film meraviglioso, nel quale la politica e la psicologia, il personale e l’universale si uniscono con una sorprendente naturalezza dialettica.

Rispetto all’opera originale sono stati effettuati molti tagli, con la riduzione della durata a due ore e mezza rispetto alle quattro ipoteticamente necessarie per una rappresentazione completa. Ciò non costituisce un problema per il film; anzi, lo snellisce e lo modernizza senza comprometterne lo stile né i contenuti.

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L’Amleto di Smoktunovsky, con i suoi monologhi trasformati in riflessioni interne, è meno edipico e più immerso nella realtà rispetto ad altre interpretazioni, un principe potenzialmente ideale ma schiacciato, oltre che dalla personale riluttanza, anche da un clima soffocante e carico di sospetto. L’imponente castello diventa una sorta di personaggio a sé in tal senso, dominando le scene con le proprie ambientazioni sobrie ma solenni, precludendo ogni possibile via di fuga al protagonista. Anche lo spettro del padre diventa un’ombra gigantesca e opprimente, che forza il figlio alla vendetta più che convincerlo.

Lo stile rigoroso e la fotografia dal bianco e nero pulitissimo permettono di incorniciare scene e particolari senza distaccarli dal flusso narrativo. Ecco quindi far capolino al matrimonio tra Claudio e Gertrude dei danzatori dall’aspetto primitivo con maschere da toro, quasi ad evocare la figura del Minotauro quale frutto pericoloso di un’unione degenerata, o l’incedere delle statue che ornano il grande orologio del castello in una sinistra processione di vescovi, re e guerrieri che si conclude con la Morte armata di falce quale sinistro presagio.

Il tema dell’orologio e della musica si riflette anche nelle scene di Ofelia (una straordinaria Vertinskaya), la quale si muove in alcune scene con gesti meccanici, accompagnata da una musica che ricorda quella di un carillon. Tali scene sono le uniche “costruite” in una rappresentazione altrimenti vicina ad una narrazione più materiale, ma noAmleto 2.jpgn stonano affatto nello schema complessivo. Altrettanto artefatta, sebbene squisita nella sua atmosfera limpida e dotata di una forte suggestione iconica, è la scena dell’annegamento, che riprende chiaramente la celebre opera di Millais.

La modernizzazione del testo si accompagna al dinamismo delle scene e ai movimenti fluidi della macchina da presa, come evidenziato nel finale: invece di accasciarsi tra gli altri morti nella sala del duello, Amleto, seguito dal fedele Orazio, fugge dal palazzo e raggiunge la costa esterna, dove proclama con semplicità ed efficacia “Il resto è silenzio”. La liberazione personale rispecchia la caduta del tiranno e l’avvento, seppur macchiato dal sangue, di un nuovo regno; e la tragedia (ri)trova così la propria collocazione nella Storia.

 

VOTO: •••••