Arcobaleno

ArcobalenoTitolo originale: Радуга (Raduga)

1944 – Regia: Mark Donskoy – Con: Nina Alisova, Natalya Uzhviy, Vera Ivashova, Yelena Tyapkina, Hans Klering

In un villaggio ucraino occupato, i nazisti cercano di piegare la popolazione civile facendo ricorso ad ogni sorta di crudeltà. I loro tentativi, tuttavia, non faranno che spingere gli abitanti alla rivolta, decretando così la sconfitta degli invasori.
Essendo stato girato quando la guerra era ancora in corso, il film non poté avvalersi delle risorse che furono invece sfoggiate in pellicole successive quali La caduta di Berlino. Nonostante un apparato visivo più semplice, tuttavia, rimane una pellicola di guerra intensamente recitata e con un messaggio chiaro e diretto. I personaggi sono caratterizzati in modo da essere funzionali al messaggio: gli invasori spietati, la giovane collaborazionista, i bambini innocenti, l’orgogliosa madre del soldato e così via. Non si deve però pensare che a questa semplicità come un mero schematismo. Essa non nuoce alla validità della narrazione, anzi conferisce agli eventi narrati la forza d’impatto emotivo di una tragedia classica.
Alla realizzazione di questa atmosfera contribuisce molto il rigore compositivo tipico del realismo socialista. Il dolore e la violenza non sono fini a sé stesse, bensì sono mostrate con sensibilità e compostezza. La resa delle immagini è quindi armoniosa, nonostante le sofferenze patite dagli abitanti del villaggio, che assurgono al ruolo di eroi in contrapposizione alla distruttività degli invasori, rappresentati come entità grottesche e caotiche.
La recitazione è passionale ed espressiva (alcuni sguardi arrivano direttamente allo spettatore, superando lo schermo più che bucarlo) ma non esasperata. I rapporti fra i personaggi sono approfonditi, con l’enfasi ovviamente posta sul ruolo di ciascuno durante la guerra e l’occupazione. Nel complesso un film toccante, lontano dalla concezione odierna del genere bellico ma da recuperare.

VOTO: ●●●●

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La caduta di Berlino

La caduta di BerlinoTitolo originale: Падение Берлина (Padenije Berlina)

1950 – Regia: Mikhail Chiaureli – Con: Mikhail Gelovani, Boris Andreyev, Marina Kovaliova, Aleksey Gribov, Vladimir Sevaliev, Victor Stanitsyn, Oleg Frohlich

La caduta di Berlino può essere considerato semplicemente come un film di guerra, concentrandosi quindi sulle impressionanti scene di massa, sulla poderosa colonna sonora di Šostakovič e sul dispiego di mezzi utilizzati (inclusi i carri armati tedeschi catturati durante la guerra e rimessi a nuovo in occasione delle riprese), ma questo non sarebbe sufficiente. È un film che necessita di un certo lavoro di contestualizzazione, sia storicamente che ideologicamente.
Diviso in due parti e della durata complessiva di due ore e mezza, il film narra le vicende principali della Grande Guerra Patriottica, dall’invasione nazista fino alla conquista di Berlino, viste attraverso gli occhi di diversi personaggi: l’operaio stacanovista Aleksej, l’insegnante Natasha della quale egli è innamorato, vari membri dell’Armata Rossa, le alte sfere dei paesi coinvolti nella guerra e, ovviamente, Stalin, quest’ultimo impersonato con una somiglianza impressionante da Gelovani, anch’egli georgiano. Lo stile è quello tipico del realismo socialista, la corrente imperante in Unione Sovietica a partire da metà degli anni ’30. Il fulcro di questa nuova estetica rivoluzionaria è il socialismo e chi lo ha edificato: i nuovi eroi sono così gli uomini e le donne che lavorano nelle fabbriche, nei campi e nelle scuole, i funzionari dell’economia, i commissari del Partito e i soldati dell’Armata Rossa. Per usare le parole di Andrej Zdanov, massimo teorico del realismo socialista, scomparso poco prima della realizzazione del film, la realtà non viene rappresentata “in modo scolastico, morto, non semplicemente come una ‘realtà oggettiva’,” ma “nel suo sviluppo rivoluzionario”. (1)
La caduta di Berlino 2Si potrebbe obiettare che il film non è del tutto conforme agli eventi storici. Alcune scene, come il viaggio di Stalin a Berlino nel finale, sono inventate. Questo, tuttavia, è in linea con il romanticismo rivoluzionario come ebbe modo di spiegare Maksim Gorkij nel suo discorso sulla letteratura sovietica del 1934: “Il mito è un’invenzione. Inventare significa astrarre dalla somma dei dati reali un significato fondamentale e concretarlo in immagine: così è nato il realismo. Ma se al significato astratto dai dati reali aggiungiamo, inventandolo secondo la logica di un’ipotesi, il desiderabile, il possibile, e completiamo con essi l’immagine, allora otterremo quel romanticismo che sta alla base del mito ed è sommamente utile, in quanto spinge a considerare la realtà in senso rivoluzionario, il che porta di fatto a cambiare il mondo.” (2) Sempre all’interno dello stesso discorso Gorkij, analizzando il mutevole ruolo assunto nella storia dall’immaginazione popolare, aveva inoltre constatato che «questo stesso folklore, oggi, ha elevato la figura di Lenin al livello di un grande eroe mitico dell’antichità, come Prometeo».
Si potrebbe inoltre pensare che il film sia volto alla mera e fanatica esaltazione di Stalin, una parte integrante di quel “culto della personalità” che i suoi detrattori amano sbandierare. Nulla di tutto ciò: il ruolo di Stalin in questo film è quello di guida, di padre della patria sovietica, un uomo brillante ma circondato da validi collaboratori a cui chiedere consigli, oltre che sostenuto da milioni di lavoratori. Non a caso, una delle prime scene del film riguardano proprio Aleksej che riceve un premio per la sua efficienza e viene invitato a Mosca per discutere con il Politburo.
Il tema centrale del film resta comunque la guerra, vista non solo come un conflitto tra nazioni ma anche come uno scontro fra due visioni del mondo diametralmente opposte: da un lato il bolscevismo e i suoi principi rivoluzionari, dall’altro il nazismo in quanto estremizzazione dell’instabilità e dell’aggressività della politica borghese. Hitler e i suoi seguaci sono mostrati in un crescendo wagneriano di follia ed isterismo, fra espressionistici giochi di luci ed ombre che evidenziano il caos e la violenza regnanti nel Terzo Reich. Quanto a Churchill, assume il ruolo di una macchietta comicamente infida, sempre pronto a tramare a proprio vantaggio. L’unico rappresentante delle potenze straniere ad essere rappresentato in modo positivo, anche se più leggero rispetto al tono generale del film, è Roosevelt, scomparso poco prima della fine della guerra e uno dei presidenti statunitensi più stimati in URSS. Questa rappresentazione, che oggi può apparire ingenua, deve essere analizzata nell’appropriato contesto storico: l’Unione Sovietica era uscita vincitrice da una guerra che le era costata venti milioni di morti, una guerra vinta grazie a sacrifici maggiori rispetto a quelli di qualsiasi altro paese coinvolto nel conflitto. Il film non è una semplice consolazione, ma un’affermazione salda ed orgogliosa degli ideali e della forza che resero possibile quella vittoria. Non a caso, l’apoteosi finale sulle rovine del Reichstag è l’occasione per sottolineare come i soldati che hanno partecipato alla battaglia, pur provenendo da paesi un tempo divisi e parlando lingue diverse, siano uniti dalla stessa causa.
La caduta di Berlino 4Girato nelle tinte accese e pastose dell’Agfacolor (sottratto ai tedeschi sul finire della guerra ed utilizzato anche da Eisenstein per le scene finali di Ivan il Terribile Parte II), La caduta di Berlino è un’esperienza notevole, anche se a molti potrà apparire antiquata, di cinema classico. Anche le scene più cruente denotano una grande cura formale, non come bieca estetizzazione della violenza ma come elevazione di un evento recente al livello delle grandi gesta rese immortali dall’arte pittorica. Grazie a questa impostazione stilistica, il film conserva tuttora un’aria epica, in cui il cinema di guerra si fonde con la narrazione di ampio respiro tipica del grande romanzo russo. Allo stesso tempo, riesce ad essere una storia d’amore ed un racconto politico, in quanto Aleksej e Natasha sono una chiara metafora degli uomini e delle donne sovietici. È un esempio di narrazione organica e completa, affine all’Uomo Nuovo che sarebbe dovuto nascere dall’esperienza rivoluzionaria.

Voto: ●●●●●

Note
(1) AA.VV., Rivoluzione e letteratura, Laterza, 1967, p. 11
(2) Ibid., pp. 33-34

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Al cinema con Stalin

L’articolo originale, intitolato Stalin, lezione di regia all’allievo Eisenstein, si può trovare qui. Non vi è modo di dimostrare la veridicità di questo verbale, tuttavia è interessante notare come anche un giornale borghese quale Repubblica offra l’immagine di Stalin profondamente interessato all’arte e al cinema. Probabilmente l’intento del giornale era di fomentare l’immagine del “tiranno nemico della libbbertà a stelle e strisce”, ma per fortuna il risultato è diverso e decisamente più interessante.

MOSCA – Sono le 11 di sera del 25 febbraio 1947 quando il compagno Poskriobvchev apre la porta della grande sala del Cremlino e fa entrare Sergej Eisenstein e Nikolaj Cerkassov. Giù in fondo, aspettano Stalin, Molotov e Zdanov. Il regista e l’attore si siedono al tavolo del dittatore e subito incomincia il processo a Ivan il Terribile, seconda parte.
Stalin: Voi avete scritto una lettera e la risposta ha un po’ tardato. Subito volevo rispondervi per scritto, poi ho deciso che era meglio parlarci. Ma sono molto occupato, mi manca il tempo e per questo siamo in ritardo. Io ho ricevuto la vostra lettera a novembre…
Zdanov: Sì, l’avete ricevuta a Soci.
Stalin: Avete studiato la storia?
Eisenstein: Più o meno.
Stalin: Più o meno? Anch’io conosco un pochino la storia. Voi avete mostrato l’opritchina (la guardia del corpo di Ivan, ndr) in modo scorretto. L’opritchina è l’armata del re, un esercito regolare, progressista. Nel vostro film, appare invece come una specie di Ku Klux Klan.
Eisenstein: Quelli sono coperti da cappucci bianchi, mentre nel nostro film i cappucci sono neri.
Zdanov: Questa differenza non è fondamentale.
Stalin: Il vostro Zar è indeciso, sembra Amleto. Tutti gli suggeriscono quel che deve fare e lui non prende nessuna decisione. Lo Zar Ivan era un grande sovrano pieno di saggezza, e se lo paragoniamo a Luigi XI lo sorpassa di dieci teste. La saggezza di Ivan consisteva nel fatto che sapeva mantenere un punto di vista nazionale e non lasciava entrare gli stranieri nel suo Paese, proteggendolo contro la penetrazione di influenze estranee. Nella vostra presentazione di Ivan Grozny sono stati commessi errori e deviazioni, in questo senso. Pietro I è un altro grande sovrano, ma il suo atteggiamento verso gli stranieri è troppo liberale, lui ha aperto troppo la porta e ha permesso la germanizzazione della Russia. Caterina l’ha permesso ancor di più. E dopo, forse che la corte di Alessandro I era una corte russa? E quella di Nicola I? No. Erano corti tedesche. E poi ecco un altro provvedimento notevole di Ivan il Terribile: è stato il primo a introdurre il monopolio del commercio estero. Lui il primo e Lenin il secondo.
Zdanov: Ivan il Terribile dipinto da Eisenstein è un nevrastenico.
Molotov: In generale, l’accento è messo sulla psicologia, su una presentazione eccessiva delle contraddizioni psicologiche interiori e delle emozioni personali.
Stalin: Bisogna mostrare le figure storiche correttamente per quanto riguarda lo stile. Così per esempio nel primo episodio non è corretto che Ivan il Terribile si stringa così a lungo con sua moglie. A quell’epoca, non si faceva.
Zdanov: Questo film presenta una deviazione bizantina. Ma anche là, a Bisanzio, questa pratica non era così corrente.
Molotov: Il secondo episodio è troppo chiuso nelle cantine, nei sotterranei. Non si sente alcun rumore di Mosca, e il popolo non si vede. Si possono certo mostrare complotti e repressioni, ma non solo quelle.
Stalin: Ivan il Terribile era estremamente crudele. Si può far vedere che era crudele. Ma bisogna far vedere perché doveva essere crudele. Uno degli errori di Ivan il Terribile sta nel fatto che non ha sterminato fino alla fine cinque grandi famiglie feudali. Se lo avesse fatto, non ci sarebbe stata l’Epoca dei Torbidi. Ma lui ammazzava qualcuno e poi pregava e si pentiva a lungo. Dio era per lui un impaccio in quest’opera. Bisognava essere ancor più risoluti.
Cerkassov: Posso fumare?
Stalin: Mi sembra che nessuno abbia proibito di fumare. Ma forse bisogna votare?
Molotov: Gli avvenimenti storici devono essere mostrati sotto una luce corretta. Per esempio, prendiamo il caso della pièce I Prodi: l’autore si burla del battesimo della Russia, che invece era stato un fenomeno progressista per quell’epoca. Stalin: Naturalmente noi non siamo dei gran buoni cristiani. Ma non bisogna rinnegare il ruolo progressista del cristianesimo in una certa fase. Questo avvenimento ebbe una grande portata, perché fu la svolta dello Stato russo verso un’unione con l’Occidente. (…)
Zdanov: Comunque nel vostro film si abusa troppo di riti religiosi.
Molotov: Questo dà una tinta mistica che non bisogna sottolineare troppo.
Cerkassov: Noi siamo convinti che faremo un buon film. Io lavoro al personaggio di Ivan il Terribile non soltanto al cinema ma anche al teatro da molto tempo. Amo questo personaggio e penso che il nostro rifacimento della sceneggiatura può rivelarsi corretto e veritiero.
Stalin: Bene, proviamo.
Cerkassov: Io sono convinto che il rifacimento riuscirà.
Stalin: Dio faccia sì che ogni giorno sia un anno nuovo…
Eisenstein: Ci saranno delle istruzioni particolari riguardo al film?
Stalin: Io non vi do istruzioni, io espongo le osservazioni dello spettatore. Ad esempio quegli opritchini che ballano sembrano dei cannibali e ricordano i fenici o i babilonesi… Bene, la questione è chiarita. Bisogna dare ai compagni Cerkassov e Eisenstein la possibilità di perfezionare l’idea e il film. Quanto all’interpretazione di Ivan il Terribile, il suo aspetto fisico è corretto, non c’è niente da cambiare. L’aspetto esteriore di Ivan è buono.
Cerkassov: Si può lasciare nel film la scena dell’assassinio di Staritski?
Stalin: La si può lasciare: ci sono pur stati degli assassinii.
Cerkassov: Nella nostra sceneggiatura c’è una scena in cui Maluta Skuratov strangola il metropolita Filippo: bisogna conservare questa scena?
Stalin: Bisogna conservarla. Ciò sarà storicamente corretto.
Molotov: In generale si possono e si devono mostrare le repressioni, ma bisogna anche mostrare a nome di chi sono state fatte, perché erano necessarie. Per questo bisogna far vedere l’attività di Stato, senza limitarsi a scene nelle cantine, ma mostrando la saggia condotta degli affari di Stato. (…)
Cerkassov: Bisognerà presentare la bozza della nuova sceneggiatura per l’approvazione al Politbjuro?
Stalin: È‎ inutile, sbrogliatevela voi. In genere, è difficile giudicare da una sceneggiatura, è più facile esprimersi su un’ opera finita. Voi desiderate leggere questa sceneggiatura?
Molotov: No, veramente io faccio un altro mestiere.
Eisenstein: Sarebbe bene che nessuno spingesse per accelerare la messa in scena del film.
Stalin: Non fatevi fretta in nessun caso. Noi in genere proibiamo l’uscita di film fatti di corsa. Se occorre un anno e mezzo per la realizzazione del film, o due anni, o anche tre, bisogna impiegare il tempo necessario perché venga bene e sia scultoreo. Ancora una cosa. La Zelikovskaja va meglio per altri ruoli. Lei recita bene, ma è una ballerina.
Eisenstein: Ma è impossibile convocare un’ altra attrice da Mosca ad Alma Ata.
Stalin: Un regista deve essere inflessibile ed esigere tutto ciò di cui ha bisogno. I nostri cineasti cedono troppo facilmente.
Eisenstein: Ho dovuto faticare due anni per trovare un’ interprete per il ruolo di Anastassia.
Stalin: L’attore Jarov non ha interpretato correttamente il suo ruolo nell’Ivan. Non è un capo militare serio.
Zdanov: Non è Maluta Skuratov, ma un pagliaccio. E voi, Eisenstein, vi appassionate troppo per delle ombre, distraete il pubblico dall’azione del film con la barba dello Zar. Ivan il Terribile solleva troppe volte la testa perché si veda meglio la sua barba.
Eisenstein: Accorcerò la barba allo Zar.
Stalin: Che Dio vi aiuti.